INGANNI
Lettera agli astanti
Un Controcanto, in linea con un habitus, che coincide con un modus operandi e vivendi.
Ho pensato alla vostra nobile missione:
Aiutare chi cura a curare.
Ho pensato alla mia vocazione:
Suscitare emozioni, per suscitare, talora re-suscitare, interrogativi.
Rompere le scatole, per guardarvi dentro.
Ringrazio coloro che lo hanno compreso e apprezzato.
Caleidoscopici inganni ci abitano.
Apparenze
Quella che ho ritratto è la colossale scenografia fantasmatica del complesso siderurgico di Völklingen Hütte, costruito a partire dal
1873 nella Saar, il primo ‘monumento’ di archeologia industriale inserito dall’UNESCO nella lista dei beni tangibili da tutelare. Nel 1994,
esattamente 30 anni or sono. Nel periodo del suo massimo ‘splendore’, impiegò fino a 17mila lavoratori, tra cui, durante la seconda guerra
mondiale, più di 12mila Zwangarbeiter (lavoratori forzati): uomini, donne e bambini, sfruttati fino allo stremo, in condizioni infernali.
Almeno 60 bambini morirono all’interno dello stabilimento.
Memoria
Quella che vedrete, qui o sul vostro computer, tramite codice Qr, è una selezione di immagini scattate nel 2017, nell’ambito
di una ricerca, che conduco da molti anni, sullo stato dei siti considerati Patrimonio Mondiale dell’Umanità.
Völklingen Hütte testimonia magistralmente la sulfurea potenza metamorfica della giocattolizzazione nella società in
cui oggi viviamo. Non pecca di alcuna vistosa cancellazione della memoria, bensì dell’annientamento del suo potere
rivoluzionario.
È la spettacolarizzazione della funzione che genera la forma, coadiuvata da una comunicazione asettica, atta a rendere la memoria
inoffensiva.
Da dark satanic mills, locus classicus della alienazione e detenzione operaia, a gettonata ‘astronave’
turistica.
Bellezza
Piranesiana fascinazione e immortalata teatralità della rovina, depurata d’ogni rombo, d’ogni olezzo.
Le immagini qui esposte sono infingimenti, cavalcano l’apologia estetica del luogo.
Inscenano un mondo che non esiste, ma la narrazione imaginifica proposta evoca la visione spiccatamente cinematografica che
si offre ai visitatori di Völklingen Hütte, allo scemare della luce.
Siamo costantemente sottoposti ad un infiltrante processo di estetizzazione del reale, che trasfigura e smaterializza.
L’artificazione ci obnubila e anestetizza.
Rovelli
L’innamoramento per il dettaglio è un nascondimento del tutto, del senso?
La seduzione della simmetria, un’insidia?
Il rispecchiamento compositivo, un tranello?
La tridimensionalità prospettica, un inganno?
L’idealizzazione della tecnica
Impossibile non meditare sulla primogenitura dell’estetica macchinista dell’high tech, delle provocazioni megastrutturali della Plug-in o
della Walking City, come delle estroflessioni impiantistiche del Centre Pompidou, quando ci si inerpica tra le ferraglie, i silos, gli altoforni di
Völklingen Hütte.
Ma se, per ventura e per sventura, accade d’aver familiarità con gli ospedali e, ahimè, d’essersi imbattuti nel paradigmatico gigantismo
esibizionistico dell’ospedale universitario di Aachen, lo sguardo s’adombra, come per un cauchemar: inquietante, compiaciuto, paradossale
‘fuori scala’, sottoposto, nel nuovo millennio, ad una cinica giocattolizzazione, con un ammiccante quanto imbarazzante intervento ‘cosmetico’ di
ringiovanimento della carcassa da ecomostro. Un incubo non ricorrente, dicunt.
Per un’Architettura Terapeutica
Da luogo consacrato alla pietas laica, deputato ad assistenza e carità, a machine à guérir, ove cura, studio e insegnamento
convivono.
L’ospedale è oggi un laboratorio, dove la malattia può essere osservata, classificata, analizzata.
La naissance de la clinique ha progressivamente interpretato il processo di cura come una questione squisitamente meccanica e funzionale,
trasformando l’ospedale in una costruzione impiantistica pseudoindustriale iperattrezzata, consacrata all’avanguardia diagnostica,
prestazionale e farmaceutica.
Ma il fatto architettonico non è mai inerte né neutrale.
È atto politico puro, generativo, trasformativo.
Governo tecnico, innovazione, ricerca, efficienza, sostenibilità non bastano.
Se le regard médical ha trasformato il corpo del paziente in un oggetto di studio sistematico, le medical humanities
insegnano come non trascurare l’esperienza soggettiva del malato, gli aspetti psicologici e umanitari della guarigione, la relazione medico
paziente.
A esattamente 60 anni dalla Dichiarazione di Helsinki, affinchè la Medicina Umana non resti lettera morta, il processo di
umanizzazione dei luoghi della cura impone un radicale ripensamento, che non può limitarsi ai consueti palliativi.
Ideologia e idolatria della tecnologia ci hanno offerto inermi alla dittatura della tecnologia.
Il progresso tecnologico, quale panacea per la sofferenza umana e sociale contemporanea, non è che un miraggio.
Urge un nuovo paradigma, verso un nuovo Umanesimo.
La colonna sonora
da Metropolis, di Fritz Lang (1927).
Straziante metafora del grande inganno.